La mostra di Daniele Basso “Le pieghe dell’anima” commentata da Giuseppe Tanzella-Nitti, ordinario di Teologia fondamentale Pontificia Università della Santa Croce di Roma
Il mio primo incontro con le opere di Daniele Basso risale al maggio del 2018 a Baranzate, durante un evento culturale nel quale l’artista esponeva alcuni suoi lavori. Conversando insieme convenimmo che la teologia e l’arte, nostri rispettivi campi di lavoro, avevano in comune rendere visibile l’invisibile, trovare linguaggi per esprimere l’inesprimibile.
Una delle particolarità delle opere di Basso, che predilige lavorare soprattutto con sculture in acciaio a specchio lucidato a mano, è coinvolgere l’osservatore, obbligarlo a riflettersi e così spingerlo a riflettere. Il dialogo con sé stessi e la riflessione sono oggi bene prezioso, specie in un mondo che corre e non lascia spazio alla meditazione, ove i ritmi di produzione e di consumo penalizzano la memoria. Daniele Basso è ben consapevole della necessità di non perdere questo bene, proprio a partire dal contesto del lavoro umano, come mostrano le opere progettate in dialogo con il mondo imprenditoriale e la produttività, opere con le quali si preoccupa di tenere vive le radici ideali e le motivazioni del lavoro, esplicitarne le tradizioni, evidenziarne i legami con il territorio. È tuttavia nei soggetti di ambito spirituale e religioso che l’interiorità trova il suo terreno più profondo, e i temi impersonati dalle opere incontrano le applicazioni feconde. Il senso religioso è in fondo ciò verso cui dovrebbe dirigersi ogni riflessività: quella dell’uomo che dialoga con sé stesso e viene chiamato a prendere posizione di fronte a sé stesso per andare al di al di sé stesso, completando con la propria vita ciò che l’opera soltanto suggerisce o lascia aperto.



Artista già familiarizzato con le opere di soggetto religioso – la più nota delle quali è probabilmente il Cristo ritorto del 2017, che dal dicembre del 2021 è esposta in modo permanente sull’altare del Sacello della Vergine di Oropa – Daniele Basso espone dal 2 luglio al 18 settembre 2022 nove opere proprio nell’area del Santuario della Vergine di Oropa, nei pressi di Biella, luogo dichiarato nel 2003 patrimonio dell’Unesco. Titolo dell’esposizione è “Le pieghe dell’anima”, quasi a indicare che l’invisibile da esplicitare va estratto dalle pieghe dell’interiorità, certamente in dialogo con l’Assoluto e il Trascendente, oltre che con sé stessi. Di indubbio rilievo il sito prescelto, omaggio della venerazione dell’artista per la sacralità del luogo e tributo alla sua terra d’origine, essendo egli biellese di nascita. La mostra è stata da lui intesa come un itinerario religioso, che nasce appunto dalla capacità di fermarsi a riflettere a dialogare. Si tratta, afferma Daniele Basso, di «una mostra tutta incentrata sul dialogo. Il dialogo profondo e spesso difficile con noi stessi, con le nostre aspirazioni e le nostre paure. Ma anche il dialogo dell’arte coi luoghi e il territorio che la ospita… col desiderio di andare oltre la superfice delle cose, fin dentro alle pieghe dell’anima, verso l’essenza della vita stessa».
L’arte contemporanea, è facile comprenderlo, ha le sue sfide da affrontare, perché chiamata non tanto a riprodurre e raffigurare, quanto a far pensare. Sfide alle quali – come ben sappiamo e talvolta sperimentiamo in noi stessi – il pubblico potrebbe non essere abituato. Prendiamo ad esempio il Cristo Ritorto, una delle opere della mostra e ormai integrata nel patrimonio artistico di Oropa. Il focus è sul crocifisso senza croce, di cui interpreta il travaglio, reso dagli spigoli della superfice che riflette l’acutezza del dolore. Eppure, cambiando leggermente prospettiva, il travaglio lascia spazio ad una figura che ha la dolcezza dell’accettazione. Non è il Cristo ritorto un esempio di iconografia classica, ma un’opera che obbliga il soggetto a riflettere e riflettersi in Cristo crocifisso, quasi specchiandosi in esso. L’aggettivo “ritorto”, forse inconsueto, gioca con la dinamica velamento / svelamento, preludendo al passaggio ritorto /risorto, come la bellezza del volto sofferente, nasconde il volto del Risorto.



Sono parte di questa sfida, fra le opere di Basso esposte ad Oropa, anche la coppia monumentale Boogyeman e Ikaros. Il primo, posto all’inizio del percorso, rappresentazione del tradizionale e favolistico “uomo nero” che incarna e simboleggia le paure, i timori, ciò che frena in modo inconscio e impedisce di procedere; il secondo, posto ormai di fronte alle porte del Santuario, che simboleggia il desiderio di volare in alto, fino al sole, libero dalle paure e dalle proprie limitazioni. Inquietante il primo, perché espressione dei condizionamenti negativi da superare e, in definitiva, del male, la cui presenza non si può tacere. Liberante il secondo, quasi a modificare, per la sua collocazione nel luogo spirituale di Oropa, il mito di chi vola troppo vicino al sole e per questo cadrà: questo Ikaros, sembrerebbe volare non per l’eccessiva fiducia nelle proprie forze, come l’Icaro del mito, ma perché illuminato ormai dalla grazia divina ricevuta al termine di un percorso spirituale, l’unica davvero in grado di farci volare oltre le nostre forze. Nell’intenzione dell’artista, le due composizioni sono all’inizio e al termine, e dunque l’una di fronte all’altra, quasi ad indicare un itinerario che non va interrotto. Dimenticarlo, potrebbe far assumere al primo una consistenza sinistra che, da solo, non possiede, dando origine ad interpretazioni incomplete dell’opera nel suo insieme. Boogyeman e Ikaros furono esposte con la medesima logica nel 2019 a Lajatico, in occasione dello spettacolo “Ali di Libertà” al Teatro del Silenzio di Andrea Bocelli.
All’interno della mostra di Oropa, Basso presenta un’imponente e attraente figura del Re Leone, simbolo cristologico che pare esortare a far uscire da sé il meglio delle proprie energie, anche in questo caso, in riferimento al dono della grazia e non solo fondandosi sulle proprie forze. Una Venere di Milo, volutamente incompleta, accenna alla bellezza che ciascuno è chiamato a completare con la solarità della propria vita. Ancora, il falco Achill, animale che evoca la capacità di vedere in profondità, oltre le apparenze, esprime il potere della visione e della sapienza, quasi un’icona della transizione personale e spirituale possibile con l’aiuto della grazia. Dimensioni e forze presenti silenziosamente “nelle pieghe dell’anima”, come recita il titolo della mostra, ma che possono emergere solo mediante un incontro con l’Assoluto, mediante il dono della grazia divina, che la Madonna di Oropa e il luogo del Santuario favoriscono e chiamano a realizzare in ciascuno.
Giuseppe Tanzella-Nitti
ordinario di Teologia fondamentale
Pontificia Università della Santa Croce, Roma
Pubblicato su Il Biellese del 22 luglio 2022