Il saluto del cardinale Giovanni Battista Re ai sacerdoti nel pellegrinaggio del 30 agosto 2021, in visita alla Madonna Incoronata Incoronazione
In questo pellegrinaggio in occasione della quinta incoronazione centenaria della Beata Vergine Maria di Oropa, che ha dovuto essere ritardata di un anno per le difficoltà e le sofferenze della pandemia, dovete, carissimi Sacerdoti, attingere dalla Madonna una grande riserva di luce, di forza e di fiducia.
Fiducia in Cristo, che ci ha chiamati ad essere suoi ministri in questa nostra società e che ci ha promesso “io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo”. Non ci ha promesso una vita facile, ma ci ha assicurato una presenza che non verrà mai meno e anche che il male non avrà l’ultima parola.
Abbiate inoltre fiducia nella decisione di dedicare tutta la vita a Dio e al bene delle anime come sacerdoti; una decisione che ciascuno di voi, cari sacerdoti, un giorno ha preso in piena libertà. S. Giuseppe Cafasso diceva: “Non basterà l’eternità per ringraziare il Signore del dono del sacerdozio”.
Grande fiducia anche nel nostro ministero che ci impegna nel compito dare un’anima e un’ispirazione cristiana alla società di oggi. Noi sacerdoti siamo chiamati a portare agli uomini e alle donne del nostro tempo quello di cui hanno più bisogno: Dio, nostro Creatore e nostro Padre. Oggi più che mai si sente il bisogno di Dio, perchè senza la fede in Dio, non si realizza se stessi e non si migliora la società. E’ vero, si può costruire questa città terrena anche senza Dio, ma – come diceva Paolo VI – senza Dio si finisce per costruire questa città terrena contro il vero bene dell’uomo e della donna. Solo se ci si sente responsabili davanti a Dio, si ha la capacità di fare le giuste scelte e si trova la forza per superare le difficoltà e per camminare per la retta via.
Per salvare gli uomini, nei suoi misteriosi disegni, Dio ha voluto avere bisogno di uomini a Lui consacrati, mediante i quali è Cristo stesso che agisce. Quando il sacerdote dice: “Io ti assolvo dai tuoi peccati…” o quando dice: “Questo è il mio corpo”, egli lo fa non solo in nome di Cristo, ma in rappresentanza di Cristo. Il momento più alto nella vita del Sacerdote è proprio quando celebra l’Eucaristia, quando confessa e quando battezza.
Per dire cose concrete, vorrei fare riferimento a due momenti della vita del Santo Curato d’Ars.
a) Quando l’Abbé Jean Marie Vianney fu destinato ad Ars, gli ultimi chilometri per raggiungere quella piccola parrocchia, li dovette fare a piedi. Per di più non conosceva il cammino ed ha dovuto chiedere indicazioni. Ad un certo punto incontrò un ragazzo che gli indicò il cammino, precisando che quella era la sua parrocchia. Allora il Curato d’Ars con un sorriso gli replicò: “Tu mi hai insegnato la via per Ars, io, come tuo parroco, ti insegnerò la strada che porta al cielo”.
In questa espressione vi è tutto l’impegno pastorale che deve animare un sacerdote o un religioso.
Il sacerdote deve essere soprattutto colui che indica la via del cielo, che ricorda a tutti che “non di solo pane vive l’uomo”: vi è anche un’anima da salvare.
La nomina a parroco di Ars non gli fu comunicata direttamente dal Vescovo, ma dal Vicario Generale della diocesi, che gli fece amabilmente questo commento: “Ars è una piccola parrocchia nella quale c’è poco amore di Dio, ma voi ce lo metterete”.
E realmente la gente di Ars frequentava le osterie e forse le balere più della chiesa parrocchiale.
Il Curato d’Ars però passava l’intera giornata in chiesa, da prima che spuntasse l’alba, e là pregava e, meditando davanti al Santissimo Sacramento, preparava le sue prediche.
La gente che lo cercava sapeva di trovarlo in chiesa ed i fedeli che riprendevano ad andare a Messa ed a confessarsi aumentavano, fino a quando negli ultimi anni il Curato d’Ars doveva passare 14-15 ore al giorno in confessionale per i pellegrini che venivano anche da lontano.
Dalla chiesa, il Curato d’Ars usciva solo per andare a visitare gli ammalati, per organizzare opere di carità e di aiuto sociale. Con la collaborazione di un paio di buone donne e di una signora benestante che mise a disposizione una casa, il Curato d’Ars fondò anche un orfanotrofio. In occasione del Corpus Domini si dava da fare perché tutte le strade fossero parate a festa, affinché il Santissimo Sacramento ricevesse il dovuto onore e tra il popolo crescesse il fervore eucaristico.
E così la gente di Ars sentì il fascino del Vangelo di Cristo e nel paese rifiorì la vita cristiana.
L’intera vita del Santo Curato d’Ars in una piccola parrocchia ci ricorda anche che ognuno di noi deve santificarsi là dove la Provvidenza divina lo ha collocato.
Anche oggi ci sono numerosi “Curati d’Ars” che danno tutto se stessi per il bene della loro gente.
Nella odierna società , il sacerdote spesso è visto da molti solo come un amico, come un compagno di viaggio e di esperienza umana. In generale, il sacerdote è apprezzato, ma solo perché uomo per gli altri, che si dedica agli altri.
È anche questa una dimensione vera del sacerdote. Certamente è da apprezzare il grande servizio educativo e sociale che i sacerdoti svolgono. Il servizio che un sacerdote reca alla comunità è qualche cosa di reale e visibile. Non è però questa la dimensione principale della vita sacerdotale.
Il sacerdote è innanzitutto un uomo di Dio. Il sacerdote è scelto per essere tutto di Dio, per essere in comunione intima con Cristo: il sacerdote è colui che proclama la parola di Dio, che offre al Padre celeste il memoriale del sacrificio di Cristo.
In breve possiamo dire che il sacerdote è colui che, nella preghiera, parla a Dio degli uomini e agli uomini parla di Dio.
Il pensiero che vorrei lasciarvi come ricordo della rinnovata celebrazione centenaria della Madonna di questo Santuario è questo: dovete essere uomini di preghiera.
Oggi, in tutti i settori, si cerca lo specialista. Il sacerdote deve essere lo specialista della preghiera. La Chiesa gli affida in modo speciale la preghiera liturgica e, in primo luogo, l’Eucaristia e la Liturgia delle Ore, oltre alla preghiera personale che fa parte della pietà sacerdotale.
Per poter stare in piedi, diceva un santo sacerdote, dobbiamo saper stare in ginocchio. La fecondità del ministero sacerdotale dipende dalla fedeltà alla preghiera. Non dobbiamo mai ritenere – diceva Papa Giovanni Paolo II – che il tempo che diamo a Dio nella preghiera sia perduto per le esigenze pastorali e sociali della nostra parrocchia o comunque del nostro campo di lavoro; non dobbiamo mai pensare che l’impegno per un colloquio sempre più intimo con Cristo sia a scapito del dinamismo del nostro ministero pastorale.
È vero esattamente il contrario: ciò che diamo a Dio non è mai perduto per l’uomo, anzi è stimolo all’azione e sorgente feconda di energie apostoliche. La fecondità delle vostre iniziative pastorali e sociali è legata alla vostra preghiera. Guai al prete che volesse fare l’esperto, lo psicologo, l’organizzatore, il manager, il sindacalista e non coltivasse una profonda e sincera vita interiore.
L’esperienza insegna che le crisi, le insoddisfazioni, le irrequietezze che sconvolgono qua e là alcuni sacerdoti nascono proprio da una non sufficiente vita interiore, da una mancanza di preghiera.
Pregare è il primo dovere della vita sacerdotale. È la logica risposta a chi ci ha scelti con singolare atto di amore ad essere “suoi amici” (Gv. 15,15 e Mc.3,14) ed ha chiesto le nostre vite, i nostri talenti, l’intera nostra disponibilità per servirsi di noi come canali della sua grazia, come trasmettitori della sua parola, come prolungamento della sua presenza nel mondo.
La Messa deve diventare la ragion d’essere del nostro sacerdozio. Dobbiamo fare della devota celebrazione della Messa la priorità del nostro ministero pastorale. Essa deve essere il centro della nostra giornata e della nostra vita.
Cristo stesso ci ha dato l’esempio: spesso si raccoglieva a pregare. Prima di scegliere i dodici Apostoli passò tutta la notte sul monte, da solo, a pregare. Prima di ogni decisione o atto importante si raccoglieva a pregare.
Vorrei anche aggiungere: non abbiate paura a mostrarvi accanto al confessionale a pregare in attesa dei penitenti. Anche quando i penitenti tardassero a venire, non avete perduto il vostro tempo. Oggi la gente si confessa poco, perché si sta perdendo il senso del peccato. È importantissimo tornare a valorizzare il sacramento della riconciliazione, il sacramento del perdono, che ci permette di ricominciare e di affidare il passato alla misericordia di Dio. Impartendo l’assoluzione sacramentale, il sacerdote diventa un canale attraverso il quale passa la misericordia di Dio, che perdona tutto e sempre dà pace e gioia ai cuori.
Il Papa Benedetto XVI ha detto che la preghiera di un sacerdote è lavoro pastorale, anzi ha detto che la preghiera “è un’attività autenticamente pastorale”.
La preghiera fa crescere il sacerdote nell’amicizia con Cristo. Senza questa amicizia col Divin Maestro non ci può essere vera gioia nella vita di un sacerdote.
Anche il nostro celibato può essere vissuto in pienezza soltanto se nel cuore abbiamo un amore totale e personale a Cristo Gesù, che ci ha chiamati ad essere “suoi amici”.
Non è facile essere sacerdoti nel mondo secolarizzato di oggi, perché Dio occupa poco posto nel pensiero e nel cuore della gente del nostro tempo. Molte persone, purtroppo, nella loro vita quotidiana non si riferiscono più a Dio, nostro Creatore, che ci attende nella sua casa paterna. Per questo nella vita dei sacerdoti del nostro tempo non mancano a volte amarezze che pesano.
E se ci capiterà che il messaggio evangelico che annunciamo non è ascoltato, ricordiamoci che nell’ordinazione sacerdotale siamo stati inviati da Cristo e che il compito da Lui affidatoci è quello di annunciare il Vangelo, per chi ascolta e per chi non ascolta.
Nei momenti di difficoltà guardiamo alla Madonna che si è totalmente abbandonata al progetto di Dio su di Lei. Lei sia il nostro rifugio, il nostro aiuto e il nostro conforto.
Un ultimo pensiero: coltivate la fraternità tra voi sacerdoti e con il vostro Vescovo.
È significativo che quando Gesù ha inviato gli Apostoli non li ha mandati come liberi battitori solisti, ma li ha inviati “a due a due”.
La fraternità sacerdotale è un grande sostegno, perché è di conforto nei momenti di sofferenza e di incoraggiamento nei momenti di gioia. La diversità dell’età, della mentalità, della sensibilità, non deve essere di ostacolo, ma anzi deve essere sorgente e spinta di sviluppo e di arricchimento vicendevole, nell’amarci come Cristo ci ha amato.
La fede e l’amore a Cristo vi devono portare ad essere amici fra di voi ed impegnati nell’educazione a una vita veramente cristiana i fedeli a voi affidati.
La Madonna interceda per voi e vi aiuti a realizzare il progetto che Dio ha su ciascuno di voi.
Card. Giovanni Battista Re