Juvarra Oropa

La Seconda Incoronazione del 1720 e l’inizio della tradizione centenaria

Nel 1720 non si trattò di un’iniziativa popolare come cent’anni prima, bensì della volontà della Congregazione Amministratrice del Santuario di Oropa. Gli amministratori di allora avevano le idee chiare e si misero all’opera per tempo. Fin dal 1719 il progetto era stato definito con precisione e fu coinvolto anche il grande architetto abate Filippo Juvarra (1678-1736).

A un passo dalla Quinta Incoronazione che ci attende nel 2020 dobbiamo riconoscere il ruolo fondamentale di quegli uomini del 1720: furono loro a creare la periodicità dell’avvenimento. Nel 1620 sarebbe potuta finire lì e adesso staremmo raccontando un’altra storia. Ma quella seconda occasione innescò la serie, in ragione del principio del “non c’è il due senza il tre” e alla via così.

Grandi eventi precedettero quella incoronazione. Come nel 1620 la guerra non era lontana. L’assedio di Torino si era concluso felicemente nel 1706 e i Savoia era diventati re di Sicilia nel 1713 e poi re di Sardegna, l’8 agosto 1720, appena qualche giorno prima che si incoronasse la Vergine Bruna. Il 25 agosto 1720, ultima domenica del mese (anche in questo si voleva mettere in atto una secolare replica esatta e, senza poterlo sapere, si andava a creare un precedente che sarebbe diventata una regola), il popolo biellese, e non solo biellese, rispose alla chiamata di Oropa e si infervorò per quella nuova festa di devozione. La cronaca del canonico don Pietro Beltramo tramanda una folla di almeno 80.000 persone (60.000 solo nel recinto e nei prati attorno). La gente era così abbondante che per dormire occupò tutti gli angoli del santuario, poi i portici delle cappelle del Sacro Monte, ma alla fine la parte più consistente dovette dormire all’aperto. Un mare di gente, considerata l’epoca e considerata anche la peste. Sì, la peste. Sempre secondo il canonico Beltramo, vicario del vescovo di Vercelli per Biella e circondario, la moltitudine già così rilevante sarebbe stata sicuramente maggiore se il rischio di contagio non fosse stato così concreto. A maggio la peste era sbarcata a Marsiglia e si temeva la diffusione del morbo, così nelle terre del Re di Sicilia/Sardegna erano stati posti limiti di spostamento. Ma neppure la paura di contrarre la malattia scoraggiò quelle decine di migliaia di devoti.

Devoti che videro la “machina” progettata da Juvarra posizionata di fronte alla Basilica Antica (che era piccola nel 1620 e nei cento anni trascorsi nel frattempo non si era ampliata di sicuro, quindi non si poteva che celebrare nel cortile del chiostro…). Venticinque metri di struttura lignea su cui issare la Statua incoronata. Un “super-altare” ricoperto di ornamenti lucenti e preziosi che brillavano al sole di quella domenica… Ma che incertezza per il tempaccio di venerdì e di sabato! Il vento fortissimo fece temere il crollo dell’impalcato scenografico. Ma la “machina” tenne duro e tutto andò per il meglio. Anche gli spettacoli pirotecnici che furono davvero sorprendenti: razzi che solcavano il cielo come “artifiziose comete”, falò di bitume e anche il simulacro del “Monte Gibello”, ovvero il vulcano Etna, in meravigliosa eruzione di scintille.

Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa

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