La strada di Oropa fu costruita nel 1620 da centinaia di volontari che che operarono con fede e buona volontà. Dal nostro archivio, una storia che ci riporta ai tempi delle prima incoronazione.
Einstein disse, anzi scrisse, che “quando c’è la volontà, c’è la strada”. È una frase bellissima, un pensiero bellissimo. Il grande scienziato aveva una visione filosofica mentre lasciava ai posteri questa sua idea. Non esiste meta irraggiungibile, basta volerlo, e il modo per arrivare si trova. Lo stesso principio, portandolo più sul concreto, si può applicare a Oropa. O, meglio, alla strada che da Biella sale al santuario.

La volontà di rendere migliore il tragitto tra il piano, la vallata e la conca si manifestò nel primo grande cantiere viabilistico della storia oropea, quello del 1620. La Prima Incoronazione, con l’afflusso prevedibile di devoti accorrenti, mise in luce le condizioni di una semplice mulattiera che non avrebbe consentito lo svolgimento di una grande manifestazione come quella in programma per l’ultima domenica di agosto di quell’anno.
Scriveva Bassiano Gatti nella sua “Breve Relatione” (1621) che quando gli organizzatori della Prima Incoronazione “incominciorno à piegar l’animo alla Santissima impresa, somigliantemente fù da loro risoluto di far ben tosto fabricare una strada, per la quale potessero agiatamente i pedoni, et i cavalli, ed ancor le caroccie condursi alla Santa Divotione”. Come si presentava allora la via che si inerpicava da Biella a Oropa? “Risultava talmente penosa, et malagevole, hor cadendo hor sormontando, et così di grossi, et ineguali sassi ripiena, che non senza laborioso stento, e non poco pericolo si potea caminare”.

Il preventivo degli impresari consultati per la costruzione della strada si assestò sui 12.000 scudi, una cifra enorme. Senza contare che il cantiere sarebbe rimasto aperto per tre anni. Non era pensabile quell’investimento, né quella tempistica. Ma nessuno si perse d’animo e il lavoro fu comunque eseguito da decine, centinaia di volontari che operarono per Fede e buona volontà, ed ecco la strada.
Carlo Antonio Bonino, nella sua “Historia” del 1659 rievoca i fatti di quarant’anni prima. La mezza dozzina di miglia dell’erta erano di “grandissima pena, sempre mai lutosa, scabrosa, et anco in alcuni luoghi strabocchevole, per le continue salite, et discese seminate sovente di rocchi, et acute selci”. Per ricavare un sedime idoneo si dovette “abbassar monti, inalzar valli, disboschire annosissime selve, et a forza di scalpello appianare il camino fra grossi macigni, e durissimi sassi”. Si mossero, come già scritto, i fedeli e furono “annoverati più d’ottocento operarij”. Il Bonino tramandò così quel fervere d’uomini e d’opere, che forse vide da bambino (era nato nel 1615): “portava seco ogn’uno di luoro il cibo comestibile, mentre dalla de Signori Deputati gl’era qausi a tutti cortesemente somministrato il vino. Gratioso spettacolo in vero, et molto gradito a gl’occhi di S. D. Maestà vedere ogni giorno grosse schiere di questi divoti operarij, con bellissimo ordine, et quasi in processione, fra lieto suono di strepitanti tamburri, incamminarsi pieni di gioia al travaglio. Correre con suoi instromenti al posto assegnatogli, et ivi fatticandosi con tanta alacrità. Sollecitudine, et unione compire la sua giornata”.

Ci fu anche un incidente grave. E un miracolo. Un grande albero si schiantò al suolo travolgendo uno dei lavoranti. I suoi compagni lo diedero per morto, ma per intercessione della Vergine Bruna, l’uomo uscì dalle fronde atterrate “da se medesimo, vegeto et robusto, come prima, [e] al solito essercitio fece ritorno”. La strada e la volontà di realizzarla è un sinonimo del percorso ancora difficile e tragico che ci porterà alla prossima Incoronazione. Siamo su una strada ancora ingombra di ostacoli, priva di indicazioni e, a tratti, ancora da tracciare. Ma c’è la direzione, il traguardo. C’è la Fede e la volontà di un popolo in cammino. E se c’è la volontà, ci sarà anche la strada – fisica o simbolica che sia – che condurrà tutti ad assistere alla celebrazione centenaria che ci attende. Parola di Einstein.
A cura di Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa