Le processioni dell’Incoronazione del 1820, tra l’Ancien Régime e la Restaurazione
Quella del 1820 fu l’Incoronazione che chiudeva il periodo napoleonico e che apriva la Restaurazione. L’idea che si aggirava per l’Europa era il fantasma dell’Ancien Régime che in molti avrebbero voluto risuscitare per far tornare le cose come prima. Prima della Rivoluzione Francese, prima di Napoleone. E invece il mondo era cambiato, aveva fatto un gran passo avanti e non sarebbe più tornato indietro. La Terza Incoronazione, però, dimostrava, almeno ai devoti biellesi e piemontesi, che una continuità esisteva. La Fede era quella di sempre e la Vergine Bruna era sempre al suo posto. Il sacerdote don Giuseppe Tagliotti assistette alle cerimonie di quel grande evento e le raccontò in un volume intitolato Terza secolare Incoronazione del Simulacro di Maria SS. d’Oropa pubblicata nel 1821 a Ivrea dagli eredi Benvenuti. I passaggi relativi al “concorso”, cioè ai pellegrini che salirono al santuario in quell’ultima domenica di agosto (e nei giorni seguenti), sono piuttosto vividi e vale la pena di rileggerli a distanza di due secoli.
“Fu così grande il concorso di popolo” – scriveva don Tagliotti partendo già dal sabato – che di quella sera già trovossi al Santuario, che ne’ portici stessi del vasto fabbricato, non meno, che ne’ lunghissimi corridoj a stento si poteva passare”. La ressa attendeva coloro che salivano e calca si aggiungeva a calca. Più che di ordinate processioni, la vigilia sembrava fatta di ondate che si susseguivano riversando a Oropa sempre più gente. Chi giungeva dopo l’impegnativa salita trovava coloro che erano arrivati prima intenti a sistemarsi per riposare qualche ora, oppure ad aggirarsi tra quella folla festeggiando. “Innumerevoli persone affaticate dal lungo cammino, né più trovando asilo nelle camere tutte occupate, furono astrette a dormire sul nudo pavimento. Quale spettacolo si vedea d’attorno al Santuario, ne’ porticati delle cappelle, sotto gli alberi, sotto le rocce, o nelle tende, che somministrar poteano un qualunque siasi riparo”. L’entusiasmo si mescolava alla stanchezza negli ultimi passi, ma il traguardo di Oropa non recava immediato sollievo. Bisognava adattarsi e pazientare, cercare un luogo decente in cui attendere l’alba.
Chissà quanti in quel frangente si ricordarono delle parole dei nonni che tramandavano l’esperienza, analoga in tutto e per tutto, che avevano vissuto nel 1720. A distanza di un secolo la medesima confusione, la medesima devozione, la medesima energia. Protagonisti e spettatori dello spettacolo di loro stessi, i devoti accorrenti costituivano la parte più vitale del grande organismo dell’Incoronazione. Era stato così e sarebbe stato così anche 1920. Anche nel 2020. E lo sarà anche nel 2021.
“Si calcolarono già in quella sera radunate al Santuario più di 25000 persone. Cominciò da quel giorno la strada da Biella al monte d’Oropa ad essere appieno ingombra di gente giorno e notte, né mai cessò in concorso duranti gli otto giorni. E sebbene potessero li forestieri ritirarsi ogni sera alla Città senza verun periglio, poiché era illuminato tutto il corso della strada per quattro miglia e più, si vide ciò non ostante al sacro Monte in tutto l’Ottavario di giorno, e di notte grandissima affluenza di popolo, cosicchè, il continuo rumore necessariamente cagionato da tanta folla di gente non lasciava prendere riposo a che anche aveva nelle camere alloggio. Chi cantava lodi alla gran Vergine, chi recitava preghiere; altri sollazzavansi con innocenti scherzi”.
Davvero il sollazzo era così innocente? Possiamo concedere all’autore quella pia bugia, dettata dal voler tramandare un evento tanto grande con dettagli tanto piccoli, come il comportamento di quel “popolo” che si era portato a Oropa per dimostrare il suo attaccamento alla Madonna Nera, pregando, senza dubbio, ma anche rallegrandosi ringraziandola per i segni del Suo affetto speciale. L’allegria, magari bagnata di vino, doveva essere contagiosa e, per quanto rispettosa del luogo, non certo così misurata e sobria. La strada tra Biella e Oropa doveva essere percorsa continuamente in un flusso disordinato di uomini, donne e bambini, di tutte le condizioni sociali, da chi camminava a piedi nudi a chi non scendeva da cavallo se non ai cancelli del santuario.
Un’umanità colorata e vociante, che esprimeva il suo sollievo per aver scampato quel momento drammatico che fu la vicenda napoleonica. Il Biellese e il Piemonte ritrovavano la “strada di casa” dopo un secolo travagliato, e quella luminosità anche notturna che il testimone narratore non ha mancato di sottolineare dà il senso di quella luce nelle tenebre che guida i passi, anche quando le tenebre sono fitte e spaventose. Ma quella luce di notte era anche quella del progresso che arrivava nel Biellese come una fiammata nel buio. Nel 1820 le prime fabbriche “moderne”, con le macchine al posto delle mani e delle braccia, avevano già cominciato a lavorare lungo i torrenti orientali. La Madonna d’Oropa vegliava da regina sull’Ottocento incipiente, pieno di illusioni e di speranze, di forza motrice e di buona stoffa biellese.
Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa