Oropa vive dei pellegrinaggi che, da tempo immemorabile, risalgono la valle o scavalcano le montagne per raggiungere l’Oggetto di tanta devozione.
Chiaramente i pellegrinaggi sono da sempre individuali o familiari o di piccoli gruppi spontanei. Ma esiste una memoria remota anche di vere e proprie processioni organizzate da comunità intere, o da compagnie e confraternite di devoti.
Il Santuario di Oropa non rappresenta un’eccezione, anzi conferma pienamente la regola della meta di un cammino percorso con finalità devozionali nel senso più ampio (preghiera, espiazione, scioglimento di voti, introspezione ecc.).
La difficoltà del viaggio, metafora del viaggio che è la vita, enfatizzava quella piccola “impresa” che era il raggiungere un ambiente, un sito differente dalla quotidianità del villaggio o della città. Il credere che già solo quel muoversi faticoso (solitario o condiviso) fosse un importante atto di fede motivava più di quanto si possa oggi immaginare e riconoscere.
Quando Iacopo Orsi nel 1488 pubblicò la sua cronaca della guerra tra Biella e Andorno, descrisse anche la città di Sebastiano Ferrero (per il quale parteggiava) e i rapporti che Biella aveva con Oropa. In quelle poche righe il magister candelese alludeva ai pellegrini che risalivano la valle per portarsi al cospetto della Regina dei nostri monti. La descrizione di quei devoti che in massa, con o senza inquadramento, lascia intendere che fosse non un’abitudine recente, bensì una tradizione instauratasi da generazioni.
L’autore non si stupiva di quel fenomeno usuale, lo dava per scontato anche per i suoi contemporanei, anzi lo esaltava come un dato di fatto storicizzato ed estremamente importante, e qualificante, per Biella (che al contrario di Andorno poteva vantare sul suo territorio cotanta testimonianza di affetto celeste).
Oropa ha quindi una lunga storia di processionanti che affrontavano la disagevole salita alla conca anche per uscire dall’ordinario quotidiano della piana e dei colli e per entrare nello straordinario estemporaneo della montagna. Già nel XIV secolo i biellesi, durante i mesi estivi, indicevano a livello di comunità quei pellegrinaggi collettivi votivi indicati come “salmi”. Biella, nel 1377, portava a Oropa il proprio gonfalone in un contesto festoso, con cospicue quantità di carne, pane e vino condotte fino ai pressi del Sacello per sfamare gli accorrenti che, dalla città, si muovevano verso la Vergine Bruna per testimoniare le grazie ricevute e per chiederne altre.
A quel tempo la chiesa di Santa Maria ai Monti era poco più di una cappelletta alpestre tenuta da arditi eremiti, eppure semel in anno, i prati che la circondavano si riempivano di gente. Come accade ancora oggi.
Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa