Quando la Madonna di Oropa acquistò il “censo” di Pollone

Accadde allora: piccole storie ai tempi delle incoronazioni…

Mentre si immaginava, si progettava, si viveva e si rinnovava quel grande evento di Fede che fu l’Incoronazione del 1620, il Santuario di Oropa si trovava ad affrontare i suoi giorni nella quotidianità della comunità biellese.

Già prima dei preparativi, durante lo svolgimento di quelle celebrazioni così nuove eppure così solenni, e nei mesi successivi, quando l’eco di quanto avvenuto l’ultima domenica di agosto del 1620 non era ancora spenta (anche perché l’anno successivo la festa fu replicata), la neonata Congregazione Amministratrice di Oropa “entrava in affari” con la Comunità di Pollone o, meglio, ne acquistava un cospicuo debito immettendo liquidità nelle esangui casse comunali. Lo strumento di compravendita del “censo” (di fatto un credito ipotecario) può apparire un prosaico scambio di denaro non molto intonato con l’armonia celeste della Prima Incoronazione, ma la questione ha ben altri risvolti, e positivi.

Il 13 dicembre 1621 fu sottoscritto il contratto che portava ai pollonesi 3.050 scudi d’oro di cui a Pollone si aveva urgente bisogno, poiché quella gente “si ritrova cariga di diversi carighi, causati dalle passate guerre”. Quando le comunità si trovavano a corto di contante, ricorrevano sistematicamente al debito e i primi debiti si rimettevano indebitandosi ulteriormente. A Pollone non si faceva eccezione e per pagare le imposizioni militari si erano rivolti, tra gli altri, al Signor Eusebio Gastaldo, “Mastro di Camera di S. A. Serenissima” e al Signor “Thesauriere” Carlo Datta. Questo avveniva tra il 1617 e il 1619. Nel 1620 gli interessi erano stati corrisposti, ma con gravi conseguenze sulle finanze comunali che, di fatto, si trovavano già in dissesto.

Il Santuario di Oropa arrivava in soccorso dei pollonesi acquistando quel “censo” di 250 doppie di Spagna e 415 doppie d’Italia con l’annuo interesse di 46 doppie e rotti, “di buon oro et di giusto peso”. Un tasso niente affatto lieve, ma tutt’altro che da usurai rispetto ai canoni di allora. Il credito concesso dagli amministratori di Oropa si basava sulla garanzia immobiliare offerta dalla Comunità di Pollone, ovvero sulla “Comune” chiamata la “Burzina” e “Ronziere”.

Proprio così: il celebre colle, o parte di esso, che oggi tutti frequentiamo per passeggiare tra i fiori e per godere di scorci panoramici unici, allora divenne un bene da impegnare in un disperato tentativo di sopravvivere. Quel terreno comune, ossia appartenente a tutti i pollonesi, “in confinio della Comunità di Biella di longo in longo” e delimitato dal “reale Vandorba e Santacolo, che va da Polono incluso et Favaro”, veniva ipotecato rischiando grosso, cioè di cederlo definitivamente. Ma il vantaggio di ottenere quel prestito dalla Congregazione Amministratrice di Oropa stava nella riconosciuta clemenza dei creditori, e questo a Pollone era chiaro. Il santuario doveva sostentarsi a sua volta, e poteva fare beneficenza solo fino a un certo punto (perché i creditori che aveva acquisito non erano altrettanto clementi…), ma non avrebbe avuto nessun vantaggio a “strozzare” i suoi stessi fedeli, anzi, era bene provvedere affinché risolvessero i loro problemi (che molte altre comunità avevano, Biella inclusa) continuando a essere devoti della Vergine Bruna.

La disponibilità di denaro di Oropa si dimostrò, una volta di più, una benedizione e quel “censo”, acquistato anche per dare una mano a Pollone, alla fine si dimostrò un buon investimento, sotto tutti i punti di vista. Le situazioni più drammatiche, spesso, portano con sé anche nuove opportunità e può capitare che la Provvidenza si manifesti anche sotto forma di atto notarile (rogato notaio Vigliani di Pollone). Il debito fu rinegoziato in più occasioni, poi ridotto con la cessione di un cascinale di proprietà di un certo Matteo Delleano, e infine saldato nel 1734. Abbondantemente in tempo per assistere anche alla Seconda Incoronazione

Danilo Craveia, archivista del Santuario di Oropa

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